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DIFFERENZE

Lo scorso fine settimana a Zurigo c’è stata un’altra vacanzina primaverile: qui il giorno dell’Ascensione (che quest’anno cadeva di giovedì) è festa e quindi il calendario ha combinato un bel weekend lungo propizio ai viaggi e viaggetti (e alle code del rientro, ma questa è un’altra storia ;-)) E’ da un po’, ormai, che continuo a ripetere che ultimamente stiamo sfruttando troppo poco, dal punto di vista turistico, questa nostra vita expat, dato che la Svizzera, oltre ad avere in sé tantissimi posti bellissimi da scoprire (con l’effetto collaterale, però, del costo stratosferico), si trova nel bel mezzo dell’Europa e, quindi, risultano facilmente raggiungibili molte località francesi e tedesche, oltre al Principato del Liechtenstein.

In realtà, però, nel periodo ottobre-maggio io sono impegnata tutti i mesi con le trasferte “yogiche” in Italia, ragion per cui le possibilità di altri tour si riducono un po’. Anche questa volta è andata così, ma ho avuto almeno la possibilità di dedicarmi un po’ allo shopping, cosa che altrimenti non riesco mai a fare, se non per delega al Marito che gira come una scheggia impazzita, lista della spesa alla mano, mentre mi lancia tutti i peggio accidenti del caso.

Ovviamente, non è tanto l’acquisto compulsivo per me che conta, quello ormai è stato pressoché archiviato da un po’, quanto i rifornimenti di guardaroba per il cambio di stagione della Creatura. Eravamo abbastanza al limite, le esigenze incalzavano, e nello stesso tempo io non riesco ancora a mettermi l’anima in pace e fare acquisti a Zurigo, se non sporadicamente per esigenze di sopravvivenza: davvero non ce la faccio a rassegnarmi a pagare il doppio per qualcosa che il doppio non vale e che, anzi, spesso esteticamente e come varietà di scelta vale la metà.

Finalmente, dunque, sono riuscita a rimettere piede in uno di quei fantastici negozi italiani dove tutto quello che vorresti esiste e, anzi, di solito anche quello che non vorresti, dato che ti trovi inevitabilmente a non resistere a quella cosa tanto carina e bellina anche se magari non ne hai proprio l’esigenza, oppure se è rimasta solo la taglia troppo grande ad acquistarla ugualmente, tanto gli andrà poi bene il prossimo anno e adesso c’erano pure gli sconti Image may be NSFW.
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😉
Il risultato, ovvio, è una fila infinita alle casse,
mettici il cambio di stagione, i 30 gradi improvvisi che richiedono immediatamente l’approvvigionamento dei sandali e le promozioni di mezza primavera.

Ed è proprio nel quarto d’ora di coda in attesa del pagamento che mi sono trovata ad osservare con nuovi occhi tutto (o meglio, tutti) quelli che mi stavano intorno. Ero circondata per lo più da neo-genitori di creature tra i 9 e i 24 mesi, la classica età in cui si osserva il fenomeno di tutto ciò che è più che indispensabile: una questione di sopravvivenza. Impossibile rinunciare al passeggino ultra-leggero (quello del trio, ormai, è una zavorra insopportabile per chiunque), l’ombrellino parasole, il ciuccio, il porta ciuccio e le salviettine disinfettanti per il ciuccio. Oltre alle salviettine multi uso per tutto il resto (ok, queste funzionano sempre, almeno fino ai 18 anni). Il pannolino per il mare/piscina, il costumino, gli occhiali da sole, il cappellino in tinta. Magari anche una bandana, vah. Le ciabattine da spiaggia, le scarpine primi passi (anche se magari ancora non si regge in piedi), insieme al set per la tavola pro-svezzamento (piattini, posatine e bicchierino antigoccia). Per non parlare dell’assortimento abiti puro e semplice: body, magliette, pantaloni, corti e lunghi, camicine, felpe, giacche e maglioncini. Mi sono rivista, in mezzo a tutto quel ben di dio, solo qualche anno fa. E ad un certo punto ho iniziato a guardare i bambini: quei pupattoli bellissimi, nel loro passeggino nuovo di zecca, colorato, pulito, con il rivestimento anti sudore, il ciuccio in bocca con la cordicella per evitare che cada a terra e si sporchi. Gli abitini candidi, perfettamente coordinati tra loro, da farli sembrare appena usciti da un servizio di moda baby. Ai piedi le scarpine primi passi, in pelle e cuoio, quelle che non costano proprio due lire, anche se la creatura potrà indossarle per qualche mese e magari neppure arriveranno a fine stagione.

E, all’improvviso, tutto mi è apparso incredibilmente strano. Non perché tutti quelli intorno a me parlassero miracolosamente una lingua che finalmente capivo, potendo farmi per cinque minuti i fatti altrui in coda alla cassa, non perché il livello di rumore da conversazione fosse drammaticamente elevato rispetto a quello che, ormai, mi sono abituata a percepire in luoghi pubblici, non per l’interminabile coda per accaparrarsi i regali della raccolta punti nell’ultimo giorno utile. E nemmeno per il fatto che i bambini piangessero o facessero capricci molto “italiani”: mi sono resa conto di stare perdendo l’abitudine all’estetica di quelle creature ampiamente sotto il metro, pulite, curate e abbigliate come piccole divinità.

Il contrasto con la mia realtà quotidiana da due anni a questa parte è impressionante: i passeggini qui sono delle specie di enormi astronavi adatte a trasportare di tutto, dai sacchi della spesa, ai giochi per la sabbiera, ai pantaloni e giacche anti-pioggia e forse anche il cane di famiglia, e nessuno sarebbe in grado di dire quale fosse il loro colore originario. La sabbia e la polvere accumulata nei parchi gioco li hanno ormai ricoperti totalmente e inevitabilmente. Credo di non aver mai visto qui un bambino con ai piedi scarpe fisiologiche primi passi, e l’ho realizzato solo due giorni fa: qui si usano gli scarponcini da neve in inverno, gli stivali di gomma nelle mezze stagioni e i sandali sportivi d’estate. Mai visto un bambino con addosso una camicina, se non quelle tipo da montagna. Mai visto bicchieri anti-goccia, ma qui si usano le borracce tipo esercito svizzero (che, in effetti, sono di una comodità mostruosa e non in plastica). Mai visto un ombrellino parasole, e in effetti anche quelli da pioggia non è che siano molto comuni: contro l’acqua si usano le giacche e i pantaloni impermeabili e per la luce i si usano semplici teli di tessuto chiaro da appoggiare a carrozzina e passeggino.

Ma, soprattutto: erano anni che non mi capitava di vedere, ben oltre le cinque del pomeriggio, bambini totalmente, assolutamente e indiscutibilmente puliti come se fossero stati appena ritirati da una lavanderia: non una macchia sulla T-shirt, non un granello di polvere sulle scarpine, niente sassolini nel passeggino, niente sabbia tra i capelli, nei piedi, nelle tasche, in ….bocca. Nel mio attuale scenario di vita quotidiana semplicemente IMPENSABILE. E da lì la domanda: ma quei bambini hanno giocato da quando si sono svegliati la mattina? E, se sì, DOVE?



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